L’uomo dell’ascolto


08 maggio 2018

Il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e la memoria ancora incredula e angosciata di quei giorni hanno segnato in modo indelebile la storia italiana degli ultimi decenni. Tutto questo non deve tuttavia oscurare la figura e l’opera di quest’uomo che Paolo VI nella lettera del 21 aprile 1978 alle Brigate rosse definì «buono ed onesto, che nessuno può incolpare di qualsiasi reato, o accusare di scarso senso sociale e di mancato servizio alla giustizia e alla pacifica convivenza civile».

Poche ore dopo l’assassinio, sull’Osservatore Romano del 10 maggio 1978, insieme al commento del direttore Valerio Volpini venne così pubblicato un ricordo di Moro scritto da Raimondo Manzini, che aveva guidato il giornale dal 1960 fino all’inizio di quell’anno, solo poche settimane prima dell’incredibile sequestro che comportò il massacro spietato dei cinque uomini della scorta dello statista italiano. «Era l’uomo “dell’ascolto”: e perciò tanto più raccapricciante, odiosa e imperdonabile appare la violenza alla sua persona, rispettosa di ogni suo simile, aperta alla socialità, attenta ai movimenti e ai fenomeni della storia, per comprenderli e indirizzarli umanamente. C’è qualcosa, in questo delitto, di inesplicabile e di disumano oltre ogni altro crimine» scriveva Manzini. E continuava: «Rivediamo e ripensiamo con strazio indicibile quel suo volto un po’ triste, pensoso, nel quale era come il perenne interrogativo di chi cerca di comprendere e di penetrare gli “altri”, e le mutevoli situazioni per valutarne il peso, districarne il senso». E scriveva ancora Manzini: «Ricordo Aldo Moro, Segretario del Partito, in taluni incontri con gli esponenti e rappresentanti politici delle periferie, ascoltare ore e ore, paziente, attento, senza segni di stanchezza, i più svariati interventi, per rendersi ben conto di quali fossero i problemi, le attese, gli stati d’animo delle varie regioni e solo “dopo”, a distanza di giorni, a dibattito concluso, assumere un giudizio direttivo». Il 13 maggio al Laterano il Papa partecipò al rito funebre per lo statista assassinato e nella drammatica preghiera conclusiva accennò all’«eredità superstite della sua diritta coscienza, del suo esempio umano e cordiale, della sua dedizione alla redenzione civile e spirituale». Descrivendo così un lascito che permane.  (g.m.v.)

da l’Osservatore Romano