Zuppi: “Solo la misericordia conserva e difende la vita”


L’omelia dell’arcivescovo di Bologna per la Domenica delle Palme
20 MARZO 2016 MATTEO ZUPPICHIESA & RELIGIONE

“Ebbe compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito”.Ci prepariamo questa sera a seguire la passione di Gesù, cioè il suo amore “fino alla fine”. E facciamo bene, perché conosciamo sempre poco la sua misericordia, increduli pratici come siamo. Dobbiamo ancora tanto imparare la scelta di cadere a terra e morire, per dare la vita e perché la vita non si perda.

Nella confusione delle nostre giornate, nella rapidità dei nostri sentimenti, così mutevoli tanto da diventare tutti uguali e possibili, sempre condizionati dal nostro banale egocentrismo, solo un amore così, sempre nuovo e che allarga il nostro cuore così misero, può aiutarci a comprendere cosa significa volere bene per davvero.

Non si “conosce” senza aprire il cuore. Non è una lezione, una legge, una verità astratta, lontana dalla vita. Il suo segreto è rivelato ai piccoli, perché solo questi sentono la grandezza di un amore del quale hanno un istintivo bisogno, mentre esso resta nascosto ai dotti e ai sapienti, a coloro che pensano già di conoscere, che analizzano da spettatori, che cercano di capire con il distacco dei maestri, senza comprenderne e viverne la scelta.

“Io non sono venuto a giudicare, ma a salvare”. La sua passione è misericordia. L’ultima parola di Gesù dalla croce sarà proprio di pregare per i suoi persecutori e di trovare per loro il motivo del perdono. Solo la misericordia conserva e difende la vita. Il problema è essere liberi dal proprio orgoglio, che riempie di paure e di giudizi. Gesù ci chiede di essere liberi dal male, tanto che non smettiamo mai di volere bene, anche di fronte all’inimicizia.

Noi come Pietro sappiamo perdonare molto poco. Non basta fare finta; ignorare; coltivare solo il risentimento o farlo diventare freddezza, fastidio, distanza. Questo non è perdono. Anche a noi la misericordia può apparire esagerata, impossibile a realizzare, addirittura ingiusta. Se la regola è il mio io perché perdonare a chi fa qualcosa contro di me? Se ascolto solo me stesso, perché superarmi? Se vivo in superficie, assecondando le sensazioni, come provare a cambiarle? Gesù racconta questa parabola per chiedere a tutti – tutti – di perdonare di cuore al nostro fratello.

Parla, non a caso, di un debito incredibile accumulato dal servo, che chiede qualcosa che non avrebbe mai potuto fare: restituire circa 500 milioni di euro. È un uomo che cerca misericordia per sé, ne ha un disperato bisogno. Forse per tanto tempo aveva sperato di potere rimettere le cose a posto e temeva il momento in cui avrebbe dovuto rendere conto; forse in maniera dissennata fidava nella sua buona sorte; forse non aveva mai avuto il coraggio di fermarsi, di farsi consigliare, di chiedere aiuto e, come una droga, aveva continuato ad accumulare debiti.

Era un fallito che non si rendeva conto, che sperimenta fino in fondo l’amarezza del fallimento, la prospettiva di una condanna definitiva. Quel padrone inizialmente agisce con giustizia e punisce il servo. Che doveva fare? Non si vendica e, pur sapendo che era impossibile saldasse il debito, lo manda in prigione finché non avesse restituito il denaro. Ha ragione. Eppure, di fronte alla preghiera del servo il padrone ha compassione, si muove a misericordia. Si fa toccare il cuore da un servo patentemente imbroglione o incapace. Lo tratta con misericordia. E questa significa fiducia. Questo è strano.

Condona più di quanto gli era stato richiesto. Non lo libera nella speranza di avere da lui la restituzione. Perdona di cuore, condona tutto il debito, affranca quell’uomo, lo restituisce pienamente alla sua dignità. La misericordia supera tutte le misure, non è mai condizionata, è sempre piena.

Davvero, come dice Papa Francesco, Dio non si stanca di perdonarci perché Dio “ha la gioia di un peccatore che va da lui e gli chiede perdono”. E’ la redenzione della croce, un perdono smisurato, fuori da qualunque convenienza, solo per misericordia della miseria di quell’uomo, della moglie e dei figli che stavano per essere venduti.

Misericordia è porgere l’altra guancia per sconfiggere il male con la forza disarmata dell’amore. Misericordia è camminare un altro miglio con chi ti costringe a farne uno, per scoprire il motivo della sua richiesta, per rispondere alla sua domanda capendo in essa la richiesta di amore, per cercare la chiave del suo cuore e piegare con la dolcezza la sua ostinazione o il suo malanimo.

Misericordia è non ricordare i giudizi che tanto giustificano le nostre durezze. Solo la misericordia apre al futuro, per chi la riceve e per chi la usa. Un futuro diverso dall’inimicizia, dalla colpa, dal peccato. Questa è la Pasqua, che, come cantiamo nell’Exultet, “ridona l’innocenza al peccatore”.

Dio ha misericordia tanto che Gesù paga lui il debito per tutti. “Non dovevi avere anche tu pietà del tuo compagno?”. Come mai lo stesso uomo, proprio appena uscito, sottolinea il Vangelo di Matteo, non tratta allo stesso modo con cui era stato trattato uno come lui, debitore però di una somma irrisoria, certamente, al contrario della sua, facilmente restituibile? Forse è talmente pieno di orgoglio che non fa agli altri quello che aveva implorato per sé.

Pensa che tutto sia un diritto e così dimentica il bene che ha ricevuto, l’amore che è stato donato in maniera sovrabbondante e totalmente gratuita: lo rende un merito, ne perde lo stupore, tanto che riemerge la durezza e il realismo di sempre. E’ un poveretto ma si crede in diritto di imporsi.

A differenza del suo padrone quell’uomo non esaudisce la richiesta e fa gettare il debitore in carcere. Non ha nessuna misericordia e perde così anche quella che pure aveva trovato. Non è riconoscente. Non ha proprio capito, come dice Papa Francesco, la logica del dono e resta così prigioniero dell’avere. Proprio lui, imbroglione, usa la giustizia per condannare il suo amico. È esigente, inflessibile con quell’altro servo come lui: non ha nessun interesse per la fraternità.

Come facciamo noi, che diamo così poca fiducia all’altro e diventiamo esigenti esecutori della legge. Vogliamo che gli altri ci diano fiducia, ci sentiamo in grado di potere fare una cosa impossibile, ma pensiamo che per gli altri sia diverso e diventiamo giudici severi e intransigenti.

Quel servo, che ha scelto una giustizia senza amore per gli altri, viene giudicato anche lui così. Troviamo misericordia se siamo misericordiosi. Vale al contrario: se non abbiamo misericordia perderemo quella che ci libera. Il servo è spietato perché usa la legge. Forse voleva dimostrare di essere forte, di contare, di non essere quello che è un poveretto, fallito, perdonato. Forse reagisce istintivamente, asseconda l’abitudine di avere, di vivere per se stesso che ci rende di fatto insensibili ed incapaci di vedere l’altro.

Forse pensa necessario dare una lezione a quell’uomo, quella lezione che lui stesso ha evitato, come la pagliuzza invece della trave. Forse vuole solo il suo, esige quello che gli è dovuto; forse si vuole fare rispettare, per la propria considerazione o ruolo; forse aveva paura di passare per sciocco o pensava che doveva difendere la regola altrimenti altri avrebbero approfittato.

Il padrone gli ha aperto il cuore; lui lo tiene chiuso alla domanda dell’altro e facendo così in fondo anche a se stesso. Ricordarci del debito enorme accumulato da noi e quindi della misericordia ricevuta ci rende miti, capaci di superare ogni misura, altrimenti impossibile nella logica della giustizia.

Riconoscere il nostro peccato ci aiuta a comprendere l’enorme fiducia ricevuta e ci spinge ad imparare a fare agli altri quello che vogliamo sia fatto a noi. Solo così si scioglie il male e sperimentiamo la gioia della misericordia, quella del Padre. Altrimenti finiamo per vivere come il fratello più piccolo e continuare a giudicare con la durezza del fratello più grande della parabola.

Dobbiamo liberarci da quella giustizia, davvero ipocrita, che ci rende poco umani verso gli altri. Scegliamo la via della misericordia per trovarla, per non perderla, per risorgere con lui. Impariamo anche noi la grandezza della misericordia, capace di ridare la vita ad uno che l’aveva persa. Ammonisce Sant’Agostino: “Non pretendere ora che sei passato che il ponte della misericordia di Dio venga distrutto”.

Insieme a Santa Faustina, seguendo Cristo pienezza di misericordia, invochiamo anche per noi in questa Santa Settimana di passione che i nostri occhi, il nostro udito, la nostra lingua, le mani, i piedi, il cuore siano misericordiosi.

Perché la giustizia di Dio è l’amore. Lasciamoci amare ricordando la nostra miseria. Scrive sempre Sant’Agostino: “La prima forma di misericordia dell’uomo credente è quella rivolta a se stesso. L’uomo di Dio è misericordioso quando fa tutto il possibile affinché anche il prossimo, come lui, possa gustare fino in fondo la dolcezza di piacere a Dio. Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tanti suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua vita. Ricorda che siamo polvere. Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. Come dista l’oriente dall’occidente, così allontana da noi le nostre colpe”.