Moavero: l’Europa sia solidale o vacilla Marco Iasevoli sabato 28 luglio 2018


Marco Iasevoli sabato 28 luglio 2018
Intervista a tutto campo con il titolare della Farnesina. Dalla necessità di sostenere l’Africa alle sanzioni alla Russi, dalle differenze di linguaggio tra Salvini e altri membri del governo
«Mi creda, in questo governo ci sono molte sinergie positive. Ben più di quanto tenda a dire la narrativa corrente. La retorica dei “tre governi”, quello M5s, quello leghista e quello “istituzionale”, in concreto, non è giustificata. C’è la determinazione a lavorare per il cambiamento in meglio del Paese e c’è la consapevolezza che l’Italia abbia bisogno di stabilità, di governi che durino e siano valutati sui fatti».
Nel cuore di una lunga conversazione, il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi assume un tono determinato quasi esclusivamente quando parla del clima interno all’esecutivo. È lì che non vuole lasciare margini ai dubbi. Mentre – può sembrare un paradosso – le sue parole diventano dubitative, sorprendentemente critiche, quando parla di Ue. «L’Europa è estremamente divisa. Mi crea profonda tristezza il forte affievolimento della volontà di cooperare. Gruppi di Stati contro altri gruppi, impasse continue di fronte a problemi, certo gravi e complessi, ma neppure paragonabili a quelli che affrontarono leader di grande spessore come De Gasperi, Adenauer, Schuman… No, non è l’Italia che rischia di trovarsi isolata, è l’Ue che è diventata un arcipelago. Noi siamo talvolta soli o in sparuta compagnia quando, specie su certi temi, richiamiamo alla coerenza, agli sforzi congiunti e all’ascolto reciproco».
Un europeista convinto, insomma, che dopo aver servito il Paese nei governi Monti e Letta, oggi, dall’interno dell’attuale esecutivo, l’unico che si è riusciti a formare dopo il voto dirompente del 4 marzo, avverte il dovere di mettere il dito nella piaga delle contraddizioni del Vecchio Continente.

Ministro, questa cornice generale ci restituisce anche la complessità del suo compito in questo governo, non crede?
La politica estera del governo ha un obiettivo prioritario e condiviso, portare gli occhi dell’Europa e del mondo sul Mediterraneo. Nell’ambito sia della Nato, sia della Ue, propugniamo una maggiore attenzione verso Sud.

Dov’è, invece, quest’attenzione oggi?

In gran parte è rivolta a Est. I partner dell’Est e del Nord hanno un’acuta sensibilità per certe iniziative russe, chiedono solidarietà: per esempio, di confermare le sanzioni a Mosca per le violazioni del diritto internazionale e dell’accordo di Minsk relativo all’Ucraina. Noi affermiamo che la medesima solidarietà, questi Paesi della Nato e dell’Ue, devono manifestarla verso le preoccupazioni degli Stati del Mediterraneo.

Mette in dubbio le sanzioni a Mosca?

Dico che occorre procedere parallelamente. All’ultimo Consiglio Ue abbiamo acconsentito al rinnovo delle sanzioni alla Russia, per sei mesi, alla luce di un documento conclusivo che, finalmente e per la prima volta, delinea uno schema organico di azioni europee per affrontare gli epocali flussi migratori. L’attenzione ad Est e a Sud, mi ripeto, devono necessariamente manifestarsi in un quadro di sintesi virtuosa, senza trascurare nessuna prospettiva.

Insomma, ci sta dicendo che l’Ue e gli Stati partner devono dare seguito con urgenza a quanto messo nero su bianco lo scorso giugno… Si aspetta svolte nei prossimi sei mesi?

Non intendo dare tempistiche, ma bisogna fare presto. Vorrei anche fornire qualche precisazione: è stato criticato il carattere “volontaristico” delle indicazioni del vertice dei leader europei del 28-29 giugno scorso, si è avuto da ridire sui “verbi al condizionale” del testo, sottacendo che è inevitabile, dato che i Trattati Ue non prevedono strumenti vincolanti per una vera politica sui migranti. Lo stracitato Regolamento di Dublino non lo è, perché si occupa unicamente del diritto di asilo. Anche le quote di distribuzione dei migranti che un anno fa, con scarso successo, si è tentato di introdurre, riguardano solo chi ha diritto di asilo. In altre parole, solo il 7 per cento di chi arriva in Europa. Invece, nelle conclusioni del Consiglio europeo di giugno si guarda all’integralità dei flussi e troviamo indicazioni articolate.

Ne ricordi i capisaldi…

Chi arriva in qualsiasi Stato Ue, arriva in Europa; la questione migranti va affrontata alla sorgente, non solo alla foce, quindi ci devono essere investimenti per i Paesi d’origine per la pace, il buon governo e per la crescita socio-economica; bisogna intervenire nei Paesi di transito dei migranti e combattere la tratta neoschiavista che li colpisce; vanno sostenuti gli Stati della riva Sud del Mediterraneo, affinché tante persone non si imbarchino più, rischiando la vita; per chi è salvato in mare servono centri di sbarco nei Paesi Ue, in più Paesi, non solo in quello che, di volta in volta, si trova geograficamente più vicino. Se attuate con lealtà reciproca, le conclusioni di giugno apriranno una stagione di solidarietà autentica.

Quante di queste cose lei crede che possano diventare realtà?

Da quel Consiglio europeo si sono avviati tavoli operativi. Su uno in particolare il lavoro sta avanzando spedito: il nostro obiettivo è che le navi militari dell’operazione Sophia non sbarchino più solo in Italia, come avviene ora in base agli accordi del 2015, ma anche in altri Stati. Questione di settimane e sapremo se l’Europa sa essere coerente con le sue stesse decisioni. Poi, puntiamo a cambiare il bilancio pluriennale dell’Unione affinché ci siano, per le politiche migratorie e di cooperazione con i Paesi africani, molti più fondi di quelli sinora stanziati.

Quanti soldi?

È prematuro azzardare cifre. Di sicuro, le risorse odierne sono insufficienti. Per averne di più, penso che l’Unione europea debba essere coraggiosa. Le entrate del suo bilancio dipendono in gran parte da trasferimenti dei vari Stati membri in base al rispettivo Pil. Si devono ampliare le fonti di entrate. Una proposta già l’ho fatta, ovvero la tassazione di quei soggetti che adesso eludono le tasse con slalom fra i diversi sistemi tributari degli Stati Ue. Ma direi che c’è anche un’altra strada: rivolgersi ai mercati, agli investitori, con apposite emissioni di titoli di debito con garanzia europea, finalizzate a finanziare progetti di investimenti produttivi in grandi opere da realizzare in Africa, per creare infrastrutture, lavoro e prospettive economiche nei Paesi d’origine e di transito dei migranti. Mi auguro sia chiaro che un’azione europea ben coordinata va a beneficio di tutti. Negli ultimi anni la pressione migratoria ha gravato sull’Italia, abbiamo risposto con senso di responsabilità, ma lo sforzo deve essere condiviso. Ora che i flussi tendono a spostarsi verso la Spagna, vogliamo che Madrid non sia lasciata sola come, invece, è capitato a noi per troppi anni.

Parlare di titoli di debito Ue è spesso stato corrosivo…

Le preoccupazioni ci sono quando si parla di “mutualizzare” e condividere il debito già esistente dei singoli Stati membri. Invece, io mi riferisco a titoli ad hoc, proposti al mercato per finanziare investimenti verificabili nelle loro positive prospettive di reddito.

Allargando la prospettiva, ministro, non riesce a convincere sul fatto che lei condivida “in toto” le posizioni di alcuni suoi colleghi, come Salvini, sulle migrazioni

Con il ministro degli Interni ci sentiamo costantemente, dialoghiamo molto. Con la struttura del Viminale lavoriamo insieme in tavoli cui partecipano anche i ministeri delle Infrastrutture e della Difesa. Talvolta ci sono differenze di linguaggio: chi ricopre due ruoli, ministro e leader di partito, inevitabilmente si esprime in maniera diversa. Io comprendo perfettamente che altri colleghi del governo debbano interfacciarsi con le rispettive basi elettorali e con i loro militanti.

Queste necessità “politiche” hanno però portato a trattenere in mare delle persone per interi giorni

Non è mai mancata a queste persone l’assistenza materiale, sanitaria, umana e psicologica. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, si è stati costretti ad iniziative più nette per far sì che ci ascoltasse l’Europa; quell’Unione divisa e svogliata nella cooperazione di cui parlavo all’inizio. Peraltro, queste iniziative sono state immediatamente ricondotte nei canali istituzionali e hanno portato, già a giugno, alle conclusioni del Consiglio europeo di cui abbiamo detto.

È il lavoro suo e del premier Conte…

Un premier che punta a ripristinare uno spirito europeo, perché è una persona costruttiva, mai divisiva. Fra noi c’è complementarietà e chimica interpersonale.

Lunedì il presidente del Consiglio sarà da Trump: è un test per tutta la politica estera italiana?

L’esito di questi colloqui sarà buono. Fra i vari temi, l’Italia porterà a Washington la sua istanza di dare importanza al Mediterraneo. È importante che l’invito del presidente USA sia arrivato molto presto rispetto all’insediamento del nostro governo, segno anche dell’affiatamento scaturito alla riunione del G7 in Canada.

Alla luce del suo curriculum “europeo”, crede che sarà il negoziato con l’Ue sulla manovra il terreno su cui si capirà la durata del governo?

Ribadisco la comune determinazione di tutti noi ad affrontare al meglio le varie questioni. Poi, ovviamente, gli atti e le politiche di questo governo saranno giudicati dagli elettori.

da Avvenire.it